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Il Flusso Perfetto
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IN UN MONDO DOMINATO DALLA PERFORMANCE, VICKY PIRIA CI HA MOSTRATO IL LATO UMANO DELLA VELOCITÀ. DOVE ISTINTO E AUTOMATISMO NON INSEGUONO IL TEMPO. LO DOMANO.
«La velocità è una ricerca perenne di perfezione». Vittoria Piria, Vicky per gli amici, conosce a menadito i più importanti circuiti del mondo, ed è sui loro asfalti che ha fatto pace con un acerrimo rivale: il tempo. Nell’ambiente del Motorsport, dominato da colleghi maschi, Vicky si è imposta con dedizione adamantina in questa sfida che lei ama definire conquista della perfezione, e quando non compete nel Campionato Italiano Gran Turismo si cimenta nel racconto, televisivo, della sua professione e della sua passione per le automobili. Di questa sua vita a due tempi, quello roboante della performance e quello pacato della narrativa, ci ha regalato un uno spaccato generoso. Senza freni.
— Pronti a correre: Vittoria «Vicky» Piria sul circuito di F1 GP a Imola
NAVIGARE TRA STRATEGIA E ISTINTO
Tu come ricerchi la perfezione, e quindi la velocità, in pista?
«Non si tratta di schiacciare l’acceleratore sul rettilineo, ma di diventare un tutt’uno con la macchina. Sono i miei movimenti a dover essere perfetti. Il pilota più veloce è il pilota impeccabile nella gestualità. Io lo chiamo «flow», il flusso perfetto. Dal punto di vista spirituale, la velocità è la ricerca costante di questo flow».
Conta più la tecnica o l’istinto?
«La sfida più difficile è far convivere due emozioni, o modi di vivere le cose, totalmente contrapposti: prima ti confronti con gli ingegneri e i meccanici, analizzi con loro una strategia, insieme si prendono decisioni fredde e pragmatiche.
Poi ti ritrovi in pista, ma se guidi e pensi a tutto quello che devi fare, se alla prima curva ti ripeti «qui devo frenare», «qui devo girare», sei già in ritardo. Il mio lavoro è assimilare tutte quelle informazioni, ma poi la guida è una cosa che viene di pancia: quando approccio una curva sto già pensando all’uscita. In questa contrapposizione fra tecnicismo ed emozioni io trovo il mio flow, il mio ritmo. Il momento più esaltante è quando arrivi a guidare senza dover pensare».
Quando da ragazza mi allenavo nel centro piloti, avevo un mental coach che mi faceva fare calcoli matematici ed esercizi di logica mentre guidavo, per aiutarmi a trovare l’automatismo perfetto.
IL VOSTRO MIGLIORE AMICO E IL VOSTRO PEGGIOR NEMICO
Segui mai degli automatismi?
«Durante le qualifiche disegno con la mente le traiettorie, visualizzo un disegno perfetto che è il giro perfetto. L’obiettivo è trasformare la guida ad altissima velocità in un automatismo. Quando tutti i tuoi movimenti sono automatici, allora puoi pensare con anticipo ai gradi di sterzo, ai metri di frenata e a quelli di accelerazione.
Quando da ragazza mi allenavo nel centro piloti, avevo un mental coach che mi faceva fare calcoli matematici ed esercizi di logica mentre guidavo, per aiutarmi a trovare l’automatismo perfetto».
La tua percezione del tempo è condizionata dalla performance?
«Il tempo è il tuo migliore amico quando sta andando bene e il tuo peggior nemico quando stai andando male. Dal tempo non si scappa. Anche la percezione del tempo parte dalla gestualità: se sto facendo una qualifica e la curva non mi viene come deve venire, so che ho perso tempo.
Sul volante dei piloti c’è una dashboard che segnala il tempo perso e quello guadagnato. Quando ero piccola me la coprivano con lo scotch perché mi distraevo, non ero in grado di reggere psicologicamente la pressione, potevo toglierla solo dopo 10 giri. Il tempo può essere un fardello».
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— Vicky Piria indossa il Pilot’s Watch Chrono 41 TOP GUN Ceratanium® IW388106
RAPPORTO DI FIDUCIA
Oltre che pilota, sei anche un’affermata storyteller. Come racconti la tua, di carriera sportiva?
«Da piccola ero fissata – e lo sono tuttora – per i cavalli, mi allenavo tre volte a settimana. Mio padre invece era appassionato di motori e un sabato, a sorpresa, portò me e mio fratello al kartodromo di Rozzano, in provincia di Milano. Avevo 8 anni, mio fratello 6, e morivo dalla voglia di mettermi in competizione con lui solo perché era un maschio.
Un anno dopo facevo le gare regionali, quelle dove se vinci ti danno un prosciutto. Mio fratello abbandonò il mondo dei kart, io invece ero totalmente dedita, a tal punto da bere solo succo alla mela perché avevo letto in un’intervista che era il preferito di Michael Schumacher. Finché a 15 anni mio padre mi regalò un corso di Formula Ford, che mi aprì la strada alla Formula 4 e alla Formula 3, dove ho corso fino al 2021, anno in cui sono passata alla GT».
— Vicky Piria che percorre una curva sul circuito di Imola
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PADRONEGGIARE IL TEMPO
Che rapporto hai con le macchine con cui gareggi?
«Un rapporto di fiducia. Ma la fiducia nel mezzo meccanico è fondata ancor prima sulla fiducia nel team, nella squadra che lo prepara, che ha aperto il motore, ha fatto l’assetto, ha controllato che tutto sia a posto. Io sono l’ultimo ingranaggio a entrare in azione. Nelle competizioni ti concentri solo sulle cose che puoi controllare. Se inizi a pensare che la macchina potrebbe avere un problema, perdi concentrazione e tempo. Quello che devo fare in pista è sentire la macchina, capire qual è il suo limite e fino a quanto posso spingermi. Nel confronto con un paddock prevalentemente maschile uso lo stesso approccio: mi preoccupo di controllare solo le mie azioni, non quello che possono fare gli altri».
Hai imparato a domarlo, il tempo?
«Ho dovuto imparare a rallentare. Più vai veloce, più il tempo è lento. Un giro nel circuito di Imola dura un minuto e quaranta secondi, ma il peso di ogni decimo lo rende infinito, tanta è l’attenzione di ogni mio gesto. Tutto ha un peso, in quei frangenti. Se sto passeggiando in montagna, quel minuto volerà via senza che io me ne accorga».
— Vicky Piria «padroneggia il tempo» durante una lezione di orolegeria IWC